Bidella pendolare Napoli Milano: i conti non tornano

” Il lavoro ad ogni costo è contrario alle norme di sicurezza e alla Costituzione. Se anche la giovane riuscisse a spendere 400 euro al mese per i treni – cosa dubbia – la scuola per cui lavora non potrebbe far finta di niente”.

La storia della giovane bidella, pendolare tra Napoli e Milano ha fatto il giro dei giornali e dei social, generando due fazioni contrapposte: c’è chi loda lo spirito di sacrificio della ragazza campana, e chi sostiene invece che non è giusto accettare un sacrificio di questo tipo.

Da che parte stare? Proviamo a vedere la storia da due angolazioni finora poco esplorate: la credibilità del racconto e la regolarità di questa modalità di spostamento verso il luogo di lavoro. La bidella pendolare sostiene di aver scelto di andare e tornare ogni giorno da Napoli a Milano con il Frecciarossa perché costerebbe meno dell’affitto di una stanza a Milano.

Se cerchiamo un treno Frecciarossa per andare, giovedì 19 gennaio, da Napoli Centrale a Milano Centrale, troviamo un treno che parte alle 5.09 e arriva alle 9.24, alla modica cifra di 92.70 euro; per il tragitto contrario, da Milano a Napoli, c’è un treno che parte alle 18.00 e arriva alle 22.33 che costa la stessa somma (92.70 euro). 

In una sola giornata, la spesa è di 185,40 euro. È vero che Trenitalia (ma anche il suo concorrente Italo) ha diverse offerte che consentono di abbattere il costo dei biglietti, ma possiamo escludere che siano sufficienti, per 24-25 giorni lavorativi, i 400 euro di spesa dichiarati dalla protagonista della storia. Anche perché l’acquisto di biglietti scontati richiede una programmazione molto anticipata dei viaggi e una grossa spesa anticipata, elemento che non sembra tanto coerente con la necessità dichiarata di far fronte al caro vita.

Un altro grosso buco nella narrativa riguarda la comparazione con il costo degli affitti: è certamente vero che una stanza singola a Milano ha raggiunto costi stellari, ma il fenomeno ha dimensioni ben diverse spostandosi di pochi chilometri fuori dalla città. Ma facciamo finta che la ragazza sia davvero così brava e diligente da trovare biglietti a prezzi stracciati e salire ogni giorno sul treno per andare e tornare da Napoli e Milano. Qualora questo accadesse con frequenza quotidianail suo datore di lavoro – la scuola, in questo caso – non potrebbe fare finta di nulla, una volta scoperto che una propria dipendente passa 10 ore al giorno sul treno. Una situazione del genere è chiaramente incompatibile con l’esigenza di tutela della salute e sicurezza del lavoratore: situazione che è chiaramente dannosa per l’equilibrio psico fisico.

Il lavoro è il primo tema che cita la Costituzione, che già all’art. 1 impegna la Repubblica a tutelare il lavoro e fissa diversi principi volti a garantire uno svolgimento dell’attività lavorativa che sia compatibile con la tutela della dignità umana. Il lavoro è importante, è essenziale, ma deve essere svolto dentro un quadro di regole, doveri, diritti e tutele: il lavoro “ad ogni costo” è invece un nemico insidioso, che apre la strada agli abusi e al regresso verso modelli di società che, con lo sviluppo dei sistemi di protezione sociali di matrice occidentale, sembravano appartenere al passato.

C’è un livello minimo sotto cui non dobbiamo mai scendere: quello fissato dalla nostra Costituzione”.

A fornire tutti i numeri all’Ansa è il Segretario generale Uil Scuola Giuseppe D’Aprile che sottolinea che:” Un collaboratore scolastico percepisce 1050 euro di stipendio, cifra che non basta a garantire un livello di vita adeguato“.

” E’ una faccenda che purtroppo non ci stupisce. È chiaro, che un caso con queste coordinate geografiche, salta agli occhi e sembra quasi un paradosso. Eppure, ogni mattina migliaia i lavoratori della scuola si spostano centinaia di chilometri per svolgere il loro lavoro. La lontananza è la condizione ordinaria di lavoro di molte più persone di quante si possa immaginare“.

Qualche settimana fa la Uil scuola Rua ha reso pubblici i risultati di una ricerca condotta a livello nazionale: per rendere stabile il lavoro dei precari della scuola, con contratti a tempo indeterminato – condizione alla quale si sta lavorando proprio in questi giorni nel confronto con il ministero per correggere le modalità di reclutamento – servono 180 milioni di euro l’anno.

” Stabilizzare significa – conclude D’Aprile – dare garanzie e comporta un doppio vantaggio: il primo certezza di una scuola con il personale in servizio già dal primo di settembre e un’economia che trova un nuovo slancio derivante dagli oltre 200 mila precari che iniziano a vedere un possibile futuro certo”.