Lo smart-working ci ha salvato dalla pandemia

Domenico De Masi, professore emerito di sociologia del lavoro all’Università La Sapienza di Roma e attento osservatore della nostra società, ha spiegato in una lunga intervista rilasciata sul nostro sito l’importanza dello smart working, che ci ha salvato dal Covid. Ha tracciato un’analisi sociologica della società post-Covid, proprio lui che è stato tra i primi  in Italia ad ammalarsi nonostante avesse ricevuto le due dosi del vaccino. “Dal Covid abbiamo imparato molto, facciamone tesoro”.

Professore, lei è stato il primo in Italia a credere nel telelavoro circa 30 anni fa. Ha pubblicato recentemente per Marsilio il libro “Smart  Working la Rivoluzione intelligente”, secondo lei quale futuro avrà lo smart working nel post-covid?

Intanto distinguerei tra telelavoro e smart- working. Il telelavoro è iniziato negli anni 80 ma si svolgeva esclusivamente da casa, attaccati ad una linea telefonica fissa, la casa era in pratica una succursale dell’ufficio con orari e tempi dettati dall’azienda. Il primo a rivoluzionare il mondo del lavoro fu negli anni Novanta  l’allora direttore dell’INPS Biglia che informatizzò completamente l’istituto pensionistico . Lo smart-working è iniziato, invece, con l’avvento degli smartphone, veri e propri computer portatili che ci consentono di lavorare praticamente ovunque: in treno, nel bar, da una località di vacanza. Secondo i dati forniti dal Politecnico di Milano il 1 marzo del 2020 in Italia i lavoratori in smart-working erano circa 700mila il 10 marzo del 2020, dopo il primo Decreto Conte  erano invece diventati  7 milioni. Un salto numerico che non si era mai visto negli anni precedenti, poiché ritengo che le aziende prima del Covid non avessero interesse a sviluppare questa modalità di lavoro. Per intenderci, ai dirigenti aziendali piaceva stare col fiato sul collo degli impiegati. E temo premeranno per tornare come prima, invece bisogna capire che lo smart-working ha salvato l’economia, ha salvato il mondo del lavoro e ha salvato la scuola.

Collegi di docenti, riunioni dei professori, Dad, si può continuare a pensare ad una modello di scuola in smart working?

Di fatto già esiste, i ragazzi hanno lavorato in dad per quasi un anno  e mezzo. E così hanno potuto mantenere i rapporti con i compagni, con i professori, hanno potuto seguire le lezioni. Tutto questo ai tempi della Spagnola era impensabile, all’epoca il mondo si fermò.

In molti però obiettano che tutto questo ha creato un fortissimo disagio a bambini e adolescenti,  è d’accordo?

Assolutamente no. Certo i ragazzi hanno vissuto dei disagi, chi più chi meno, ma c’è da dire che il vero lockdown noi lo abbiamo vissuto da marzo a maggio del 2020 e anche in quel caso a pagare la solitudine sono stati per lo più i single e gli anziani.  Per gli altri non è stato così: si è riscoperto il senso di famiglia, di coppia, i mariti hanno imparato cosa fanno le mogli in casa quando loro sono al lavoro. E per gli  studenti la dad è stato il loro momento di socialità. Ma ripeto questo vale per l’anno passato. In questi mesi i ragazzi si sono riuniti, a volte addirittura assembrati, e sono tutt’ora spesso in gruppo.

Come vede lei questa generazione di giovani, cresciuti tra internet e social network?

Io li vedo con una marcia in più. Noi alla loro età eravamo blindati, faticavamo anche per acquistare un libro di testo perché non c’erano soldi, oggi basta aprire il computer. Personalmente, per frequentare a Napoli l’Università mi spostavo da un paesino al confine tra Benevento e il Molise ed era un viaggio per poter studiare, oggi chissà seguirei probabilmente  i corsi da remoto. Questa è una generazione che  viaggia in tutto il  mondo,  i ragazzi conoscono le lingue, frequentano l’Erasmus e lavorano,  da remoto, spesso anche dopo la laurea. Chi dice che stavamo meglio ieri dice una bestemmia.

Il Giappone ha creato un Ministero per la solitudine, cosa già accaduta nel 2017 in Inghilterra, in Italia è ipotizzabile un Ministero così?  

Di fatto già abbiamo un Ministero che si occupa del tempo libero.  La vita al  tempo dei nostri trisavoli era per la metà del tempo passata a lavorare, oggi viviamo 700mila ore e lavoriamo per 7mila; per il resto del tempo dormiamo e abbiamo tempo libero a diposizione. E questo può creare solitudine, se non è gestito bene ma se programmato con intelligenza il tempo libero è un grandissimo alleato.

Il  piano nazionale  di resistenza e resilienza PNRR prevede per la scuola italiana un investimento di  circa mezzo milione di euro per una scuola estiva che punti all’inclusione e allo sviluppo delle capacità personali dei singoli allievi. Secondo lei,  in Italia ci sono le strutture adatte?

Direi che ci sono le strutture. Siamo l’ottavo paese al mondo per prodotto interno lordo, siamo i secondi produttori industriali  dopo la Germania e i secondi, dopo la Francia, per produzione agricola. Siamo nel G8 e nel G20. Questa è la nostra realtà.

Che scuola vede allora per il futuro?

Una scuola dove smart working e lezioni in presenza interagiranno tra di loro, anzi la tendenza si invertirà. Da casa si seguiranno grandi esperti via web, lezioni per liceali e universitari in contatto telematico con grandissimi esperti. In classe si andrà, invece, per discutere quanto appreso da casa.  

Una vera rivoluzione concettuale ma intanto la maturità si avvicina per milioni di studenti italiani,  cosa suggerisce loro per combattere l’ansia da esame .

Non molto, in verità. Vede, non possiamo sempre pensare di proteggere i nostri figli o i nostri nipoti, che  sanno benissimo difendersi da soli. L’ansia, la paura, il dolore, sono campanelli di allarme positivi perché ci aiutano a combattere, e a vincere, le nostre battaglie quotidiane. Però devo fare un appello alla scuola e devo farlo proprio per i ragazzi. Insegno all’Università e tocco con mano ogni anno quanto gli studenti  arrivino incerti e poco consapevoli  all’Università. A scuola va decisamente potenziato l’orientamento, che andrebbe fatto gli ultimi  due anni di liceo ascoltando esperti in tutte le professioni, che spieghino ai ragazzi i dettagli delle rispettive professioni.  

Il professor Cassese parlando dei concorsi pubblici ha sottolineato come non possano essere evitati perché si aprirebbe, ancora una volta, la strada al clientelismo e ai favoritismi politici a discapito del merito.  Concorda?

Perfettamente . E questo vale, a mio avviso, anche per il concorso della scuola

Lei è stato il primo caso in Italia di positivo al Covid dopo la somministrazione delle due dosi di vaccino. Come è potuto accadere?

Purtroppo sono rientrato nel 5 per cento di probabilità di contrarre il Covid nonostante il vaccino.

E ha avuto paura?

Non per me, io l’ho scoperto per caso. Dovevo andare ospite nella trasmissione di Barbara Palombelli e come da prassi mi sono sottoposto a tampone. Confermata la positività sono stato curato con anticorpi monoclonali allo Spallanzani di Roma e dopo 24 ore stavo già bene. Ma per mia moglie, contagiata  mio malgrado da me, sì ne ho avuta e molta.  Era in casa, attaccata all’ossigeno ma grazie ai medici del Gemelli e alla telemedicina che la monitorava h24 è andato tutto bene. Si è salvata in casa, seguita a distanza.  

Professore, che  cosa abbiamo imparato da questa pandemia?

Molte cose, che mi auguro non dimenticheremo troppo in fretta. Abbiamo imparato il rapporto spazio-tempo, prima avevamo pochissimo tempo e tanto spazio mentre nel lockdown di marzo 2020 abbiamo avuto pochissimo spazio e tanto tempo da gestire. Abbiamo imparato che il mondo è globalizzato, il virus dalla Cina è arrivato prima in Lombardia, poi nel resto dell’Europa e poi del mondo . Abbiamo imparato la differenza fra necessario e superfluo, e mi auguro che il consumismo a cui l’uomo è portato non cancelli questa importante consapevolezza. E abbiamo imparato che gli anziani, gli immigrati, i deboli hanno bisogno della nostra solidarietà e che lo Stato è necessario: è stato, durante la pandemia, una cabina di regia fondamentale. E infine, spero, abbiamo imparato che tante nostre lamentele sono state lamentele da ricchi perché i disagi vissuti non sono stati così penalizzanti in confronto alla malattia.

Posso chiederle che progetti ha un istrionico ragazzo  di 82 anni?  

Io lavoro ancora oggi, con grande piacere, nella ricerca e scrivendo libri. Sto facendo una ricerca su come evolverà la cultura nel prossimo futuro e sto scrivendo un libro sulla creatività, che è una sintesi perfetta tra  fantasia e concretezza. La fantasia è stimolata da idee nuove,  la concretezza dalla possibilità di realizzarla. I nostri giovani sono molto creativi ma vanno supportati e stimolati sin da piccoli, come facevano I Medici a Firenze con i bambini dell’epoca.